Troppe diagnosi per la depressione, tristezza non e' sempre una malattia

Boom per consumi antidepressivi, verso nuovi metodi diagnostici

 

E' boom di casi di depressione diagnosticati nel mondo occidentale ma potrebbe essere il risultato di un'eccessiva medicalizzazione del sano "sintomo tristezza" e di criteri diagnostici ancora dubbi, quindi un eccesso di diagnosi e cure. E' quanto spiega lo psichiatra Paolo Cioni, responsabile di un servizio di salute mentale presso la ASL e docente alla Scuola di Specializzazione in Psichiatria di Firenze in occasione del Convegno 'Ai confini della mente e oltre' oggi a Milano.

Questa confusione ha portato all'esplosione dei tassi di depressione rilevati nelle indagini epidemiologiche e all'aumento esponenziale del numero dei casi trattati (+300% in USA tra 1987-1997) e alla crescita dell'uso di antidepressivi, triplicato tra 1988 e 2000, con un incremento di 6 volte della relativa spesa farmaceutica (in Italia dati OSMED mostrano che il 12% della spesa farmaceutica riguarda antidepressivi e ansiolitici). E non mancano gli allarmi per il futuro: l'OMS infatti prevede che la depressione sara' nel 2020 la seconda causa di disabilita' dopo le malattie cardiovascolari. Ma il mondo e' veramente cosi' depresso? "Ansia e depressione sono sentimenti che emergono spesso nella vita quotidiana e - spiega Cioni - prima ancora di essere fonte di sofferenza e impedimento (e quindi malattia), assolvono a uno scopo: l'ansia per esempio e' una reazione di allerta di fronte a un pericolo per attivare una serie di funzioni di difesa". Il punto centrale rimane quello di capire quando la depressione puo' essere definita malattia e quando e' solo uno stato d'animo fisiologico scatenato da certe situazioni come un lutto. Non ci sono test oggettivi in psichiatria come radiografie o esami del sangue, o un esame che possa dire in modo definitivo se una persona sia o meno affetta da un disturbo mentale e questo rende difficile fare una diagnosi precisa.

Tuttavia, spiega Cioni, sono gia' disponibili, ma ancora troppo poco usati, indici psicofisiologici per la validazione del quadro clinico di depressione quali ad esempio la presenza di profonde alterazioni della qualità del sonno, rilevabili con un elettronecefalogramma (EEG); la riduzione dell'attivita' elettrodermica (cioè del passaggio cutaneo di corrente); l'aumento del tono simpatico, cioe' della vasocostrizione (rilevabile con tecniche cardiologiche). "Inoltre - aggiunge Cioni - esistono tecniche di EEG per rilevare asimmetrie emisferiche e attivita' neurale che danno indicazioni importanti. Infine promettenti risultati sembra offrire la stimolazione magnetica transcranica (TMS) per mettere in evidenza alterazioni dell'attivazione della corteccia prefrontale e monitorare l'efficacia della terapia (sia degli psicofarmaci, sia della psicoterapia). Anche le tecniche di neuroimmagine come PET e risonanza possono essere utili evidenziando alterazione dell'attività' delle aree neurali dell'affettivita'. E' chiaro che bisognerebbe potenziare questo settore oggi poco sviluppato", sottolinea Cioni. Ma per ora si riscontra soprattutto la tendenza ad ampliare il ventaglio dei disturbi che potrebbero rientrare nel 'calderone' della depressione: "la 'pandemia' si estende, conclude Cioni: "il DSM-V (manuale diagnostico di psichiatria, la cosiddetta bibbia degli psichiatri al momento in via di revisione) e' pronto a trasformare anche il lutto in malattia depressiva", così come altre situazioni che inevitabilmente generano un senso di tristezza, sfiducia, pessimismo, disperazione.